Troppo, forse, per quei tempi, giacché a Torino si era sparsa la voce che avesse idee liberali e che simpatizzasse per la rivoluzione francese.
Per tenerlo lontano dai guai, il padre, il conte Michele, pensò di allontanarlo dalla capitale mandandolo a Grinzane ove si impegnò sia nella vita amministrativa locale, diventando sindaco del paese, sia, ancor più, in quella economica, nella veste di amministratore, della vasta tenuta Cavour, che si estendeva su 542 giornate piemontesi, pari a oltre metà d tutto il territorio di quel comune.
A quell’epoca i possedimenti di Cavour in Langa superavano i duecento ettari di terreno, con il castello, il mulino, cinque cascine a mezzadria e due a conduzione diretta.
Preziose informazioni sulla storia dell’Azienda Cavour a Grinzane sono desumibili dalla corrispondenza che, tra il 1845 e il 1853, intercorse con frequenza quasi settimanale tra il segretario di Cavour, Carlo Rinaldi, e il fattore dei tenimenti, Giovanni Bosco.
Camillo Benso di Cavour, sempre più convinto dell’importanza di una moderna agricoltura per lo sviluppo economico del Regno, pensò di dare il buon esempio avviando un’opera di miglioramento colturale nelle sue tenute nella speranza e con l’ambizione che diventasse un modello presto imitato da altri imprenditori.
Fin dal 1836 Cavour aveva chiamato quale suo consulente il marchese Pier Francesco Staglieno, il generale già distintosi in epoca napoleonica quando sul campo di battaglia si era guadagnato la Legion d’Onore. Fu a quest’uomo, animato da una profonda conoscenza e passione per l’enologia, che Cavour affidò il processo di vinificazione a Grinzane.
Lo Staglieno, consapevole dei problemi legati alle obsolete tecniche agrarie e dei limiti e difetti dei vini piemontesi, si mise subito al lavoro.
A lui sono attribuite alcune innovazioni sostanziali: la fermentazione in tini chiusi anziché aperti, per diminuire l’ossidazione del mosto; l’uso dello zolfo per garantire una più lunga conservazione del vino; l’acquisto di botti nuove di diverse pezzature (fino a 44 ettolitri). Nel 1837 Staglieno raccolse le sue osservazioni e condensò le sue conoscenze enologiche nell’opera Istruzioni intorno al modo migliore di fare e conservare i vini in Piemonte.
Alla fine degli anni Trenta i vini della tenuta del conte di Cavour erano pronti per affrontare il mercato e furono venduti in tutto il Regno di Sardegna.
Si trattava quasi certamente di vendite di vino sfuso, spedito nelle tipiche carrà e consegnato ai vinattieri che si occupavano di travasarlo nelle loro botti, dalle quali precedevano al passaggio in damigiane e di qui alla vendita sfusa o alla mescita in caraffa.
Non abbiamo dunque in questi anni alcuna indicazione precisa circa un vino specifico da Barolo con tanto di bottiglia ed etichetta, così come lo intendiamo oggi.
Comunque l’attività prevalente della tenuta era la viticoltura e nelle lettere del Bosco inviate al segretario di Cavour si può seguire l’intero processo, dal piantamento delle viti alla potatura fino alla vendemmia, dalla pesatura delle uve nella stanza del castello, alla distillazione di acquavite e vermouth, alla vendita dei vini.
Un commerciante di vini francese, residente a Genova, certo Louis Oudar, prese alloggio a casa del Conte Cavour come suo consulente enologico.
Un contratto datato 13 novembre 1847, testimonia che Cavour si era impegnato a vendere alla casa “Oudart e Bruché” tutta la sua produzione di uva che la ditta acquirente avrebbe vinificato a sue spese.
Da questo momento “il francese” prese le redini della vinificazione in casa Cavour. In una lettera del gennaio 1847, il fattore Giovanni Bosco manda il Conte campioni di vino vecchio da assaggiare, facendo riferimento chiaro a “due botti del francese” cioè appunto Oudart, e una dello Staglieno. La botte del francese è del 1843, e ha dunque quattro anni, come si conviene per un Barolo, mentre vi sarebbe una rimanenza di dodici brente di vino nero “alla Staglieno”, cioè più dolce.
Questa citazione dimostra anche che i due consulenti furono attivi contemporaneamente in casa Cavour e che svilupparono ciascuno uno stile proprio: l’italiano perseguì un Nebbiolo giovane e abboccato, secondo la moda corrente, mentre il francese preferì un vino secco e invecchiato, secondo il modello bordolese.
E’probabile che per qualche anno i due sistemi siano convissuti, e che Oudart abbia diretto la parte di produzione destinata alla propria ditta, tra cui vengono citati anche un Nebbiolo bianco e il Vermouth.
Come Staglieno, anche Oudart si preoccupò che in cantina venissero apportate migliorie di vario tipo, dalla costruzione di nuove botti alle normali riparazioni, ma soprattutto egli insisteva sulla pratica frequente del travaso. Dalla corrispondenza epistolare si respira inoltre l’attesa impaziente dell’inizio della vendemmia, ancora stabilito con gli antichi bandi comunali, e, inoltre, viene riportata la registrazione di tutte le minute inerenti alle varie operazioni effettuate dai vignaioli.
Colpisce la straordinaria organizzazione di vendita, con la cessione dell uve da Cavour alla “Maison Oudart e Bruché”, il successivo lavoro di vinificazione condotto dall’Oudart stesso, lo smercio di grandi partite di vino a osterie e case patrizie a Torino, in altri centri piemontesi e, attraverso i magazzini della casa vinicola, a Genova e all’estero.
Un’altra innovazione importantissima fu l’acquisto delle prime 1000 bottiglie di vetro provenienti dalla Francia. L’anno dopo fu registrato l’imbottigliamento di 100 bottiglie di “vino vecchio 1844”. Questa è probabilmente la prima annata di Barolo messo in bottiglia e con il 1844 si può quindi far incominciare la storia moderna del Barolo e dei suoi millesimi.
A Grinzane si può affermare dunque che abbia lavorato per alcuni anni in qualità di consulente vitivinicolo l’illustre membro dell’accademia dell’agricoltura di Torino, Paolo Francesco Staglieno, mentre nel periodo del fattore Giovanni Bosco le tecniche d’avanguardia furono introdotte dal francese Louis Oudart, che dal 1843 al 1851 fu in rapporti d collaborazione commerciale con la casa Cavour.
I termini economici della collaborazione sono indicati nel contratto per la vendita delle uve della vendemmia del 1847. Ancor nel 1850 la casa vinicola genovese dell’Oudart acquistò complessivamente quasi 450 quintali di uve di diverse qualità (nebbiolo, dolcetto, barbera e uve varie).
La corrispondenza con il fattore Bosco si concluse a fine 1852. Appena in tempo per scoprire il nome del nuovo acquirente delle uve della tenuta di Grinzane, un certo signore Bottero di Torino.
E’ così che la storia del Barolo si intreccia con la storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Cavour, Silvio Pellico, Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, i conti di Mirafiori figurano infatti tra gli artefici o tra gli appassionati estimatori del Barolo, concorrendo a vario titolo alla nascita e all’affermazione di questo grande vino prodotto da un’unica uva, il nebbiolo dalle colline di Langa. Possiamo allora affermare che le strategie e le politiche economiche intese alla creazione di un grande vino capace di reggere il confronto con i blasonati francesi videro nel dinamico Cavour uno dei protagonisti.
Luigi Cabutto